Il Guerriero di Capestrano: un’ombra risorta dalla terra
- Stefania Tosi
- 7 giorni fa
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Autunno del 1934. Nella quiete di una vigna abruzzese. Michele Castagna, un contadino di Capestrano, affonda la vanga nel terreno e sente un colpo sordo. Non è una radice, non è una pietra qualunque: è il Guerriero di Capestrano, una statua di calcare alta oltre due metri, emersa dall’oblio come un’eco di un mondo perduto. Accanto a lui, presto rivelata dagli scavi, appare la Dama di Capestrano, sua enigmatica compagna. Questa dualità apre interrogativi sul loro significato – erano marito e moglie? Re e regina? Simboli di guerra e pace? La presenza della Dama aggiunge una dimensione relazionale che raramente troviamo in altre statue arcaiche, rendendo il Guerriero parte di una storia più grande, un dialogo muto tra maschile e femminile che ci sfida a decifrarlo.
Questa scoperta non è solo un reperto: è una finestra spalancata su una civiltà arcaica, quella dei Vestini, che circa 2600 anni fa dominava le terre dell’Italia centrale.
Un colosso di pietra che sfida i secoli
Il Guerriero si staglia imponente, con un’armatura scolpita che racconta battaglie e onore. Alto 2,10 metri, la sua figura mescola forza e grazia, con forme morbide che hanno fatto discutere gli studiosi: è un uomo, senza dubbio, come confermano l’equipaggiamento militare – spada, scure, corazza – e l’assenza di tratti femminili. L’elmo, largo e piatto come un sombrero, è un dettaglio che incanta: richiama le tradizioni delle élite italiche del VI secolo a.C., un’epoca di guerrieri e rituali antichi. Ogni linea della statua sembra sussurrare una storia di potere e mistero.Visivamente, il Guerriero è magnetico. La sua imponenza (2,10 metri), le forme morbide e stilizzate, l’elmo esagerato e la posa rigida creano un’estetica che non assomiglia a nulla di contemporaneo. Non è realistico come l’arte greca classica, né astratto come quella preistorica: è un unicum, un’espressione dell’Italia arcaica che si distingue per la sua originalità. È interessante perché ci costringe a guardare con occhi diversi, a entrare in una mentalità lontana ma potente. Per questo si può dire che il Guerriero di Capestrano: un’ombra risorta dalla terra.
Una necropoli svelata: tombe di un passato sacro?
La vigna di Michele non era solo terra da coltivare: gli scavi, guidati da archeologi come Giuseppe Moretti negli anni ‘30, hanno portato alla luce una necropoli vestina con decine di tombe. Al centro, il tumulo del Guerriero spicca per la sua aura sacra. Circondato da un fossato e da un recinto di pietre, suggerisce che qui riposasse un capo, forse un condottiero venerato dalla sua gente. Le tombe, semplici ma cariche di significato, parlano di una comunità che onorava i suoi morti con riti complessi, un culto che intrecciava vita e aldilà.
La Dama di Capestrano: L’Enigma al Femminile
E poi c’è lei, la Dama, alta 1,85 metri, con un abito lungo e un copricapo che la avvolge in un silenzio regale. Chi era? Una moglie, una sacerdotessa, un simbolo della fertilità? La sua presenza accanto al Guerriero apre domande senza risposta sul ruolo delle donne in quella società arcaica. Forse vegliava sul defunto, o forse rappresentava un potere parallelo, un equilibrio tra maschile e femminile che rende questa coppia di statue unica nel panorama italico.
L’armatura: ponte tra culture
L’equipaggiamento del Guerriero è una mappa di influenze. La doppia corazza, con dischi protettivi sul petto e sulla schiena, e il sistema di cinghie sono tipici dell’Italia centrale del VI secolo a.C., ma gli studiosi notano echi orientali – forse etruschi o persino greci – nei dettagli dell’elmo e delle armi. La mano destra, che stringe una scure ormai spezzata, e quella sinistra, appoggiata su uno scudo, raccontano di un uomo pronto alla guerra, ma anche alla difesa della sua gente. È un’arte che fonde tradizioni locali con suggestioni lontane, prova di una rete di scambi che attraversava il Mediterraneo antico.
Un rituale funerario avvolto nel mistero
La necropoli di Capestrano non era un semplice cimitero: era un luogo di memoria e venerazione. Le tombe, prive di ricchezze sfarzose, contenevano ossa e pochi oggetti, ma la statua del Guerriero suggerisce un ruolo speciale. Gli studiosi Silvio Ferri e Louise Holland hanno ipotizzato che fosse un’effigie sostitutiva del defunto, un’immagine scolpita per eternarne la presenza. Il volto stilizzato, con una maschera che potrebbe essere un calco in cera del viso del morto – un’usanza documentata anche in altre stele abruzzesi come quelle di Penna Sant’Andrea (V secolo a.C.) – ci porta dentro un rituale antico: la prothesis, l’esposizione del corpo con le sue insegne di rango.
Maschera o simbolo?
Il volto del Guerriero è un enigma a sé. Non ha dettagli realistici: gli occhi sono due cavità, la bocca una linea appena accennata. Alcuni vedono una maschera metallica, altri un laccio per fissare l’elmo. Ma è proprio questa stilizzazione a renderlo potente: non è un ritratto, è un’idea, un simbolo di forza che trascende l’individuo. Studi recenti, come quelli di Adriano La Regina, sottolineano come l’arte italica arcaica rielaborasse influenze orientali in modo originale, creando opere che parlavano di identità e spiritualità.
L’iscrizione: un nome dal passato
Sul pilastrino che sostiene il Guerriero, un’iscrizione in lingua paleo-sabellica aggiunge un altro strato di mistero. Il testo, decifrato solo in parte, recita qualcosa come “Me ne Aninis fecit” o “Nevio Pompone me fecit”. È la firma dell’artista, Aninis, o una dedica del committente, forse un figlio del defunto?
Gli esperti dibattono ancora, ma quel nome – scolpito con cura – è un grido che attraversa i millenni, un tentativo di non essere dimenticati.
Oggi, il Guerriero di Capestrano troneggia al Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo a Villa Frigerj, Chieti, accanto alla Dama e ad altri reperti della necropoli. L’allestimento di Mimmo Paladino, con una sala rotonda dalle pareti bianche, esalta la sua monumentalità. La luce soffusa gioca con le curve della pietra, invitando a fermarsi, a guardare, a chiedersi chi fosse quest’uomo di calcare emerso dall’oblio. È più di una statua: è un’epopea di pietra, un racconto di guerra, morte e memoria che respira ancora.
Un patrimonio da custodire e valorizzare
Il Guerriero e la Dama di Capestrano, insieme ai reperti rinvenuti nella necropoli, rappresentano un patrimonio inestimabile per la conoscenza della storia e della cultura del nostro territorio. La loro valorizzazione e la continua ricerca archeologica sono fondamentali per svelare i segreti di un passato che ancora ci affascina e ci interroga.
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